Letteralmente, il training autogeno indica l’allenamento (training), che si genera da sé (autogeno).
Potrebbe essere vista come una tecnica di rilassamento, ma in realtà è una tecnica di cambiamento che, produce in chi la pratica, delle reali modificazioni fisiologiche e psichiche.
Il training autogeno ha effetto sui muscoli e sugli organi diretti al sistema nervoso autonomo.
Può essere definito come “metodo di autodistensione da concentrazione psichica” ed è la traduzione, in termini occidentali, dello yoga. Esso permette, sotto il controllo della volontà, di modificare il tono muscolare ed è stato ideato grazie all’osservazione di alcuni studi di Oscar Vogt, riferiti alla capacità di alcuni soggetti di porsi spontaneamente in uno stato di ipnosi, raggiunto mediante un’azione volontaria di distensione, calma e recupero. Da ciò Schultz aveva dedotto che l’ipnosi è un apprendimento accompagnato da determinati fattori fisiologici (pesantezza, calore, ecc).
Quando può essere utilizzato?
- Come metodo di prevenzione di malattie e disturbi psicosomatici (emicrania, tachicardia, gastriti…);
- Come mezzo per combattere un eccessivo carico di stress;
- Per il superamento di momenti di stanchezza;
- Per migliorare le prestazioni fisiche, sia nelle attività lavorative che sportive;
- Per migliorare la concentrazione e l’autocontrollo.
Il rilassamento è il primo gradino per accedere alla pratica degli esercizi, quindi è importante scegliere il momento più opportuno.
Aspetti pratici del metodo:
- L’ambiente: semioscuro, silenzioso e comodo, in modo da ridurre al minimo le afferenze;
- Condizioni soggettive: il soggetto non deve essere disturbato o condizionato da stimoli di fame, sazietà o sete;
- Posizioni: devono essere tali da evitare qualsiasi fattore di tensione muscolare
- Non usare parole di divieto;
- Non usare il tempo futuro, ma usare il tempo presente.
Schultz indicò 3 posizioni per eseguire gli esercizi:
1.Posizione del cocchiere a cassetta o del pensatore di Rodin: il soggetto sta seduto su uno sgabello, senza appoggio per la schiena, con il tronco modicamente flesso sull’addome, le gambe divaricate a circa 75° e le cosce che formano un angolo di 90°, con gli avambracci poggiati sulle cosce e le mani penzolanti, nel vuoto, tra l’interno delle cosce. Gli occhi devono essere chiusi. Schultz aveva notato che i cocchieri, assumendo questa posizione, si riposavano senza dormire;
2.Posizione in poltrona: il soggetto sta seduto su di una poltrona con reggitesta e assume la stessa posizione del cocchiere a cassetta, ma con la testa sostenuta dal poggiatesta e con le braccia appoggiate ai braccioli;
3.Posizione supina: il soggetto è disteso su di un materassino, con le gambe leggermente divaricate e con le braccia che formano un angolo di circa 130° con l’avambraccio. Si utilizza un piccolo cuscino sia sotto la testa che sotto la zona poplitea.
Tecnica degli esercizi
Il Training Autogeno si articola in quattro fasi:
La prima fase che si struttura in una serie progressiva di esercizi di concentrazione passiva su determinate formule, è il cosiddetto “training autogeno standard”, indicato come “ciclo inferiore” e comprende sei esercizi:
- Esercizio della pesantezza: Il soggetto una volta percepita la sensazione di pesantezza, deve formulare mentalmente la frase “il mio braccio (gamba) dx (sx) è molto pesante”;
- Esercizio del calore.
Questi 2 esercizi hanno un’importanza rilevante, vengono denominati anche minitraining; si possono usare durante le pause di una gara e servono sia ad eliminare l’ansia preagonistica, sia come allenamento mentale, ad integrazione di quello tecnico. L’immagine di un movimento, dato per supposto che la rappresentazione mentale dl movimento utilizzi le stesse strutture impiegate per eseguire il movimento reale (A. Berthoz), determina un aumento del potenziale di azione e ciò fa rispondere meglio i muscoli interessati allo stimolo.
Le acquisite capacità di rilassamento volontario del minitraining hanno importanza soprattutto:
- Per ridurre il tono di fondo e quindi eliminando l’inconscio che precede la gara;
- Per ridurre il dispendio energetico al minimo;
- Per predisporre, al miglior controllo motorio, creando nel tono di preazione, le difficili condizioni ottimali di rappresentazione delle successive fasi che costituiscono l’esercizio, programmando sequenze motorie controllabili modificabili.
3. Esercizio dei battiti del cuore;
4.Esercizio del respiro;
5.Esercizio del plesso solare;
6.Esercizio della fronte fresca.
L’esercizio va ripetuto 2 o 3 volte al giorno con una durata che va dai tre ai venti minuti. Ogni esercizio deve essere concluso con i movimenti della ripresa consistenti in rapida apertura degli occhi, flessioni ed estensioni delle braccia e delle gambe ripetute, attive ed energiche, profonde inspirazioni ed espirazioni.
Una ripresa mal fatta può lasciare turbe più o meno rilevanti dello schema corporeo. Ogni volta che si procede ad un nuovo esercizio, bisogna ripetere, nella consueta sequenza, tutti i precedenti.
Il risultato non è immediato, ma si ottiene con un lavoro metodico giorno dopo giorno. Solamente dopo un certo periodo di tempo, che si aggira dai due a sei mesi, il soggetto è in grado di entrare rapidamente nel giusto distacco fisico e mentale, raggiungendo uno stadio che si trova fra la veglia e il sonno: lo stato autogeno. Da questo stadio deriva un benessere fisico e mentale e i suoi effetti si protraggono per molte ore. Se si dovessero riscontrare delle reazioni di difesa da parte del soggetto, bisogna rispettarle, combatterle causerebbe una maggiore tensione.
Gli insuccessi dell’inizio sono dovuti ad anomalie del tono muscolare, al carattere inibito o alla costituzione del soggetto.
La seconda fase è quella delle modificazioni autogene e comprende:
- Formule organico-specifiche (F.O.S.) che agiscono fisiologicamente in una sola zona specifica del corpo, non prevista negli esercizi standard;
- Formule intenzionali (F.I.S) che agiscono sulle funzioni psichiche e sono di neutralizzazione, di rinforzo e di astinenza.
La terza fase è quella della meditazione autogena o “ciclo superiore”. Viene praticata quando il soggetto è padrone degli esercizi precedenti ed è in grado di entrare quasi istantaneamente nello stato autogeno.
La quarta fase è quella del metodo di neutralizzazione autogena, cioè l’elaborazione autogena e la relativa verbalizzazione.
La terza e la quarta fase devono assolutamente essere guidate da terapeuti specializzati che conoscono bene sia il metodo che la dinamica psicologica profonda. Queste fasi si dimostrano particolarmente utili in tutti quei disturbi legati a situazioni conflittuali croniche che determinano dapprima alterazioni funzionali, e successivamente, malattie organiche definite appunto psicosomatiche.
Riferimenti bibliografici
Tribastone F., Tribastone T. – “Compendio di Educazione Motoria Preventiva e Compensativa” Società Stampa Sportiva – Roma 2001.
A cura di
Dott.ssa Marta Doria e Dott. Gianmaria Celia
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