Almeno 2 persone su 3 di quelle sottoposte a chirurgia bariatrica hanno problemi al fegato (oltre il 10% in forma grave), ma nelle persone con diabete il danno al fegato è presente in 4 pazienti su 5. Il problema in questione è la Nash, la steatoepatite non alcolica.

A dirlo è una ricerca effettuata al Policlinico Gemelli di Roma, presentata dai giovani soci della Sid, la Società italiana di diabetologia, per la 56° edizione dell’Easd (European association for the study of diabetes). La Nash è uno degli stadi della steatosi epatica non alcolica (Nafld), che interessa una persona su 4 in Europa e si associa di frequente al sovrappeso, all’obesità e all’insulino-resistenza.
Il rischio di questa condizione risulta triplicato nelle persone con diabete mellito, che sono anche quelle che rischiano di più l’evoluzione della malattia verso la Nash e la cirrosi. Al momento, l’unico esame che consente di diagnosticare questa condizione è la biopsia epatica.


Nello studio è stato analizzato un campione di 309 persone con obesità grave, tra i 19 e 69 anni, un terzo dei quali affetto da diabete mellito. Tutti i pazienti erano stati sottoposti a biopsia epatica nel corso di un intervento di chirurgia bariatrica. La prevalenza di Nash in questo campione è risultata del 69,2%.
Tra i pazienti con diabete, la prevalenza di Nash è risultata dell’82,1%.

“Il diabete – dice Erminia Lembo, ricercatrice che ha partecipato allo studio – si conferma un importante fattore di rischio per Nash, anche se l’unico calcolatore di rischio che ne tiene conto, il Nafld Fibrosis Score, non mostra una buona correlazione con il punteggio bioptico valutato con il Nash”.

“Da questo studio – commenta Gertrude Mingrone, senior author dello studio e direttore Uoc Patologie dell’Obesità, della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – si evince da una parte la reale prevalenza della Nash e dall’altra la necessità di individuare in un prossimo futuro uno score composito, anche con l’aiuto di sistemi come la rete neurale artificiale, che abbia elevata specificità nell’individuare i pazienti da sottoporre a biopsia epatica”.

Per Francesco Purrello, presidente della Sid, la Società italiana di diabetologia, “l’importanza di trovare metodi non invasivi ma precisi per diagnosticare e stadiare questa complicanza del diabete risiede anche nella utilità di poter porre diagnosi precoci prima che queste alterazioni evolvano in cirrosi o epatocarcinoma, come purtroppo in alcuni casi oggi accade.

La diagnosi precoce e una terapia efficace rappresentano le sfide future della ricerca scientifica in questo ambito”. (ANSA)

A cura di
Redazione

Commenta con Facebook

Tags

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *