Un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale ha identificato degli agenti che riescono a colpire in modo selettivo i tessuti tumorali, risparmiando quelli sani. Il metodo sembra essere efficace per curare i glioblastomi (GBM), la forma più aggressiva e comune di cancro al cervello che ha un’incidenza annua globale di meno di 10 casi su 100.000 persone. «Il tasso di sopravvivenza a cinque anni per i pazienti affetti da glioblastoma è pari al 5%», sottolinea Seth Herzon, uno degli autori dello studio pubblicato su Science.

I gliobastomi sono la forma più grave e comune dei gliomi, tumori che si sviluppano a partire dalle cellule gliali del sistema nervoso centrale e possono interessare sia il cervello che il midollo spinale.


Farmacoresistenza

«Uno dei principali problemi quando si trattano i gliomi è il fatto che i pazienti sviluppano rapidamente una resistenza al temozolomide», spiega Ranjit Bindra, uno degli autori, riferendosi all’agente antitumorale alla base della maggior parte dei farmaci antiglioma utilizzati negli ultimi vent’anni. La resistenza insorge a causa di mutazioni genetiche che rendono il farmaco invisibile all’organismo dopo circa un anno di uso, vanificando la chemioterapia e portando alla morte del paziente nella maggior parte dei casi.

Danni mirati

I ricercatori hanno cercato di identificare degli agenti antitumorali che riuscissero a evitare questa farmacoresistenza. Per farlo, si sono serviti di una caratteristica tipica di oltre la metà dei gliomi, ovvero la perdita della MGMT, una proteina specifica che si occupa di riparare il Dna.

Sfruttando questo “punto debole”, questi nuovi agenti riescono a colpire in modo selettivo i tessuti tumorali, danneggiando lievemente il Dna cosicché le cellule sane (che hanno la proteina MGMT) riescano a ripararlo, mentre quelle tumorali (prive della MGMT) muoiano in seguito all’aggravamento delle lesioni.

Questa scoperta, che secondo i ricercatori «ridefinisce le regole di come colpire le cellule tumorali», potrebbe applicarsi anche ad altri tipi di cancro: «Il prossimo passo è capire se questo metodo può essere implementato come strategia terapeutica per colpire diversi tumori con difetti nella riparazione del Dna», conclude Herzon.

FONTE: Focus

A cura di
Redazione

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