Gli effetti dello spazio sul corpo: cosa succede agli astronauti

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Effetti della microgravità sul corpo umano: cosa accade agli astronauti

Lo spazio affascina da sempre l’umanità, ma vivere in assenza di gravità comporta conseguenze complesse per l’organismo umano. In questo articolo analizziamo cosa succede al corpo degli astronauti dopo lunghi periodi nello spazio, dalle alterazioni muscolari e ossee agli effetti sulla circolazione e sul sistema nervoso, con dati aggiornati dai principali studi della NASA. Scopri perché il movimento e la riabilitazione sono fondamentali al ritorno sulla Terra.

Gli effetti della microgravità: muscoli, ossa e sistema immunitario sotto stress

Durante la permanenza nello spazio, l’assenza di gravità comporta una drastica riduzione degli stimoli meccanici che normalmente mantengono in salute i muscoli e le ossa. Gli astronauti sperimentano un processo di atrofia muscolare progressiva: i muscoli non vengono sollecitati come sulla Terra e iniziano quindi a perdere forza e volume.
Anche lo scheletro ne risente: la densità ossea può diminuire dell’1-2% ogni mese di permanenza nello spazio, soprattutto nei distretti più coinvolti nella postura terrestre, come colonna, anche e arti inferiori. Questo accade perché le ossa, non sottoposte al carico gravitazionale, riducono la loro attività di rimodellamento.

Al rientro sulla Terra, gli astronauti si trovano spesso in condizioni di debolezza generalizzata. Possono manifestare difficoltà nei movimenti più semplici e una maggiore vulnerabilità a virus e batteri, a causa di un temporaneo abbassamento delle difese immunitarie.

Il ruolo dell’allenamento e della riabilitazione

Come spiegato dal dott. Filippo Ongaro, ex medico degli astronauti italiani, “il recupero dipende dalla plasticità del tessuto e dalla qualità del programma riabilitativo”. Se da un lato il muscolo ha una buona capacità rigenerativa, l’osso è più lento a recuperare. Oggi però le agenzie spaziali investono molto su programmi di attività fisica strutturata, con esercizi a bordo delle stazioni spaziali e protocolli riabilitativi mirati dopo il rientro.

Il progetto Twins Study della NASA: cosa cambia davvero?

Uno studio fondamentale per comprendere gli effetti dello spazio sull’uomo è il celebre Twins Study della NASA, in cui sono stati analizzati i cambiamenti fisici e genetici dell’astronauta Scott Kelly durante un anno nello spazio, comparandoli con il fratello gemello rimasto sulla Terra.

I risultati hanno evidenziato, tra le altre cose:

  • Uno spostamento dei liquidi verso la parte superiore del corpo, con viso gonfio e aumento della pressione intracranica;
  • Alterazioni nella circolazione sanguigna e riduzione del volume plasmatico;
  • Una diversa risposta del sistema vestibolare, che regola l’equilibrio, causando senso di disorientamento al rientro;
  • Modifiche temporanee nell’espressione genica e nella lunghezza dei telomeri, indicatori dell’invecchiamento cellulare.

Questi cambiamenti mettono in luce quanto sia complesso l’adattamento dell’organismo alla microgravità e quanto sia cruciale l’esercizio fisico, l’integrazione alimentare (calcio, vitamina D) e la riabilitazione post-missione.

Conclusione: esplorare lo spazio, proteggere il corpo

L’esplorazione spaziale continua ad affascinare e spingere l’uomo oltre i suoi limiti. Tuttavia, è fondamentale essere consapevoli delle sfide fisiche che essa comporta. Solo grazie alla scienza, alla tecnologia e a programmi di allenamento avanzati possiamo permettere agli astronauti di tornare sulla Terra in salute. Il corpo umano è straordinario, ma ha bisogno di essere preparato e seguito anche quando ci spingiamo ai confini dell’atmosfera.

Riferimenti Bibliografici

  • Loehr, J. A., et al. – “Physical training for long-duration spaceflight.” Aerospace Medicine and Human Performance – 2015
  • Ongaro, F.Star bene nello spazio, star bene sulla Terra. Sperling & Kupfer – 2016
  • Smith, S. M., et al. – “Benefits for Bone from Resistance Exercise and Nutrition in Long-duration Spaceflight: Evidence from Biochemical Markers.” Journal of Bone and Mineral Research – 2014

A cura di
Team Universal Kinesiology

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