«Soffro per voi quando dovete spiegare ai lettori cosa sta succedendo a livello politico nello sport italiano: chi fa cosa, chi è contro chi e, soprattutto, come andrà a finire. Con mio padre e le mie figlie che mi chiedono aggiornamenti ho glissato, ai colleghi del CIO ho regalato un bignamino di qualche decina di pagine. Ma non so se sono riuscito nell’intento».

Ci aiuti allora Malagò, da capo del CONI e da uomo di sport


«Dopo il Consiglio dei Ministri di martedì scorso, siamo tornati indietro, addirittura al 31 dicembre 2018, a quelle poche righe di una legge che trasformavano CONI Servizi, inhouse del CONI, in Sport & Salute, società terza e indipendente. Da quel giorno, improvvisamente, il CONI, ente pubblico cui la Legge Melandri, oggi in vigore più che mai, ha dato precise prerogative e si è trovato senza più nulla in mano».

A quel nulla si sarebbe dovuto rimediare subito

«Certo. Consapevole del vuoto di potere che si creava, il primo governo Conte fece partire l’iter per una legge delega che permettesse al CONI di rispettare l’autonomia prevista dalla carta Olimpica mettendo come pezza temporanea un contratto di servizio. Due anni dopo, oggi, la legge delega non è stata approvata, il contratto di servizio è scaduto. Gli impegni del CIO con i due governi che si sono succeduti sono stati disattesi, sulla governance siamo punto e a capo. Il contratto di servizio non è applicabile o replicabile perché quella che era una soluzione sbagliata oggi è una soluzione impossibile».

E il CONI come sta in questa situazione?

«È un CONI ridimensionato, inutile negarlo, ma più compatto che mai: lavoriamo in unità per portare avanti battaglie sui diritti che definirei sacrosante. Ma mentirei se non aggiungessi che la situazione di quadro normativo è estremamente difficile».

Il ministro Spadafora rivendica una potente legge sullo sport, guai a chiamarla «riformina», approvata grazie ai 5 decreti sui 6 passati in Consiglio dei ministri.

«Devo dare atto a Spadafora e al suo staff di aver lavorato con abnegazione. Sulla mancata approvazione del Decreto 1, quello sulla governance, lui è stato chiaro: la riforma non è andata in porto per una forte non condivisione della maggioranza, del CONI e fortissima di Sport & Salute. Ha concluso dicendo che ora, se vuole, della riforma se ne deve occupare il Parlamento. Giusto: il CONI gioca tanti ruoli, non quello del legislatore».

Spadafora dice anche: guardiamo alle norme approvate, sono ottime.

«Dal punto 2 al punto 6 ci sono tante cose belle, utili e importanti che condivido: sulla governance c’era e resta confusione».

Le federazioni sono preoccupatissime per i versamenti contributivi obbligatori per i loro lavoratori.

«Temono che i fondi non bastino: le capisco. Il progetto è interessante ma se costringi società agonizzanti a mettere mano al portafoglio le uccidi. Vivono su un associazionismo sportivo allo stremo».

Come sono i rapporti con Spadafora?

«Ottimi con il suo staff, con lui buoni ma su un piano direi formale e istituzionale».

Il tema del dissenso tra sport e Spadafora è stata la feroce battaglia del ministro sui mandati, il suo e quello dei presidenti federali.

«Posso condividere l’allarme sullo scarso ricambio a livello dirigenziale. Ma aver cambiato le regole in corsa e con la legge che già metteva il limite dei tre mandati (durata giusta per governare e guadagnarsi credibilità internazionale) è stato controproducente. Chi ha alle spalle una lunga militanza o pochi avversari si è fatto eleggere subito per evitare sorprese. Ma vedrete che nelle prossime tornate ci saranno tante novità».

I Giochi Olimpici di Tokyo si faranno?

«Assolutamente sì, ne siamo convinti noi e ne è convinto il Giappone. La questione non è se si faranno o meno ma di quale livello sarà la bolla che li circonderà. Su questo il lavoro del CIO è incessante».

FONTE: Corriere della Sera

A cura di
Redazione

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