Nella Giornata mondiale dell’Alzheimer alcune nuove ipotesi sulle cause della più comune forma di demenza, contro la quale non c’è ancora una cura.

Il 21 settembre di ogni anno, nella Giornata mondiale dell’Alzheimer, si ha come l’impressione di ricominciare da capo: mentre 55 milioni di pazienti attendono, con le loro famiglie, una possibile terapia contro la malattia del secolo, la ricerca di farmaci e spiegazioni rimane a un binario morto.


L’ipotesi più accreditata degli ultimi 15 anni, che vedeva negli accumuli di proteina beta-amiloide sui neuroni la principale causa della malattia, potrebbe essere stata frutto di una manipolazione e non ha comunque portato a trattamenti efficaci. Anche il tanto decantato aducanumab, il farmaco approvato negli USA nel 2021 che elimina le placche amiloidi, non sembra dare benefici di sorta a dispetto dei rischi per chi l’assume.

Ipotesi autoimmuni

Ben vengano allora le ipotesi fuori dal coro, che provano a spiegare la malattia in altro modo. E se per ipotesi l’Alzheimer non fosse una malattia del cervello, ma una malattia del sistema immunitario all’interno del cervello? L’idea proposta dagli scienziati del Krembil Brain Institute di Toronto (Canada) parte dal considerare la beta-amiloide non una proteina prodotta in condizioni anomale (ossia patologiche), bensì una molecola normalmente presente nel cervello come parte del sistema immunitario.

Se sopraggiungono un trauma o un’infezione batterica, la beta amiloide è pronta a giocare in difesa. Ma, questa l’ipotesi riassunta anche su The Conversation, a questo punto si verifica una specie di equivoco. Il rivestimento lipidico dei batteri somiglia a quello delle cellule nervose. La beta amiloide non si distingue tra le due diverse membrane e prende di mira l’obiettivo sbagliato: non i batteri invasori ma i neuroni che avrebbero dovuto proteggere.

La ricerca di cure

I neuroni soffocati dalle placche amiloidi perdono funzionalità e questa progressiva moria di cellule ha come effetti il ​​declino cognitivo e gli altri sintomi su comportamento, umore e personalità tipici della malattia di Alzheimer. Visto in questa chiave, l’auto sabotaggio della beta-amiloide somiglia a una reazione autoimmune come se ne vedono in altre malattie causate da autoanticorpi impazziti.

Per ora i farmaci impiegati contro patologie autoimmuni note, come l’artrite reumatoide, non si sono dimostrati efficaci contro l’Alzheimer. Ma continuando a cercare in questa direzione (andando cioè a caccia di regolatori della risposta immunitaria) si potrebbe un giorno intravedere una strada. L’ipotesi, dettagliata lo scorso aprile sulla rivista dell’Alzheimer’s Association, non è l’unica idea un po’ “fresca” sulle cause della malattia.

Nel cuore delle cellule

Oltre alla teoria della malattia autoimmune – in passato avanzata anche per un’altra malattia neurodegenerativa: il Parkinson – un’altra ipotesi parecchio originale emersa di recente vuole che l’Alzheimer sia una malattia dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule (incluse quelle cerebrali ), che convertono ossigeno e glucosio in energia.

In base a uno studio appena pubblicato su Molecular Psychiatry, una mutazione di un gene da poco scoperto nei mitocondri sarebbe associata a un rischio del 20-50% più alto di sviluppare la malattia di Alzheimer. Il gene in questione regola la produzione di una piccola proteina – chiamata SHMOOSE – che se è presente la mutazione viene inattivata. Poiché la mutazione “incriminata” si ritrova in circa un quarto della popolazione di origine europea, la scoperta potrebbe rappresentare un’aggiunta importante ai (finora pochi) fattori di rischio genetico noti dell’Alzheimer.

FONTE: Focus

A cura di
redazione

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