L’attività fisica è, di per sé, un atteggiamento positivo da portare avanti che aiuta, senza dubbio, nel mantenimento di un buono stato di salute, di uno stile di vita sano e attivo e nella prevenzione in generale; ma se diventa eccessivo cosa accade?

Può sembrare strano ma si può parlare di una vera e propria dipendenza da esercizio fisico che prende il nome di Exercise Addiction,  termine che venne utilizzato per la prima volta nel 1970 in uno studio condotto sui disturbi del sonno causati dalla privazione dell’esercizio fisico in soggetti che si allenavano 3 o 4 volte a settimana; da questo studio è emerso che durante il periodo di lontananza dall’allenamento questi soggetti hanno avuto un calo nel benessere psicologico caratterizzato da ansia e risvegli notturni.


Questa condizione è stata definita anche “exercise dependance”, per indicare una dipendenza dall’esercizio di natura fisica, perciò Glasser dà la definizione di positive addiction in quanto considera questa condizione come un impegno fisico-sportivo maggiore rispetto alla media che permette di mantenere alti i livelli di prestazione, ma anche quelli psicologici, sociali e comportamentali. Di contro, invece, Morgan parla di negative addiction definendo così l’attività fisica come la protagonista della vita del soggetto che toglie, quindi, spazio ad altri interessi diventando così dannosa per la sua salute sia fisica che psicologica.

Quindi con il termine exercise addictionintendiamo una dipendenza negativa dall’esercizio fisico in quanto è una condizione non solo fisica, ma psicologica, infatti così come ogni altro tipo di dipendenza rappresenta un tentativo di fuga dalla vita reale. Inoltre, presenta gli stessi sintomi di altre forme di dipendenza (come alcool, droga, gioco d’azzardo) ovvero: astinenza, euforia, priorità, disturbi dell’umore, difficoltà nella gestione del bisogno di allenarsi, difficoltà nella gestione delle relazioni sociali, ricadute e conseguenze negative come ad esempio l’emarginazione, la perdita del lavoro e la compromissione dei rapporti affettivi e sociali.

Questi casi sono definiti clinici proprio perché vi è la perdita del controllo del proprio comportamento in relazione all’esercizio fisico che non viene più svolto sotto forma di svago ma viene percepito come un obbligo, in questo caso parliamo di “dipendenza da esercizio primaria” , mentre definiamo “dipendenza da esercizio secondaria” quando coesistono più disturbi e l’esercizio rappresenta il mezzo per ottenere un qualcosa, ad esempio l’allenamento eccessivo può essere utilizzato con l’intenzione di perdere peso in aggiunta ad una dieta restrittiva e spesso collegata anche a disturbi dell’alimentazione.

Tra le discipline più a rischio troviamo il lavoro con sovraccarichi, alimentato e supportato anche dalla presenza di un eventuale dismorfismo corporeo noto come vigoressia (dal greco vigor + orex, che sta ad indicare la fame di grandezza riferita alla smania di essere sempre più tonici e muscolosi), ma anche la corsa e le attività di fondo; cosi come la dipendenza è presente in alti settori sportivi, in cui, ai rischi dell’attività esasperata, si unisce la dipendenza del risultato agonistico o ancora quella forma di dipendenza definita “disturbo narcisistico della personalità” che è tipico di quei soggetti che considerano l’attività fisica come un palcoscenico per mettersi in mostra e farsi ammirare.

Ritrovarsi in questo circolo vizioso ridimensiona, quindi, il concetto di sport e di attività fisica e diminuisce nettamente le distanze tra il concetto di benessere, fisico e mentale dato da un’attività sana e misurata, e una vera e propria dipendenza.

Quindi se un soggetto passa molte ore della sua giornata ad allenarsi è un exercise-addicted? NO.
Ciò che fa la differenza è l’approccio all’allenamento, allo sport, al tempo dedicato a questi.
Il processo che porta verso l’exercise addiction può essere rappresentato da 4 fasi:

  1. Attività ricreativa: la motivazione che spinge a fare attività è unicamente legata al divertimento e/o al miglioramento delle proprie prestazioni, il comportamento è sotto controllo: la persona aderisce al suo programma ed è in grado di interrompere quando preventivato e perciò le conseguenze negative (ad esempio infortuni) sono rare;
  2. Attività a rischio: in particolare ciò che distingue l’esercizio ricreativo dall’esercizio a rischio è la motivazione, il soggetto va incontro a sbalzi d’umore legati all’attività fisica aumentando anche la frequenza degli infortuni e dei traumi legati all’allenamento;
  3. Attività problematica: viene così definita perché le varie attività giornaliere vengono rigidamente organizzate in relazione all’allenamento e compaiono ripercussioni negative sulla sfera fisica e sociale; Mantenere il controllo sul comportamento diventa sempre più difficile in quanto, una volta cessato l’allenamento, intervengono i sintomi dell’astinenza.
  4. Exercise addiction: la vita si sviluppa interamente intorno all’esercizio che è ormai fuori controllo, interviene il paradosso: un comportamento intrapreso per rendere la vita più leggera finisce per renderla ingestibile. Il piacere nello svolgere l’attività viene meno, l’unico obiettivo è fronteggiare i sintomi dell’astinenza, infatti frequenza, intensità e volume di allenamento vengono progressivamente aumentati per avere un maggiore appagamento.
    La vita sociale e lavorativa è compromessa, aumenta il rischio di depressione, di infortuni e traumi fisici.

Oltre ad osservare queste fasi per diagnosticare questa condizione di dipendenza vengono utilizzati per lo più dei questionari che indagano sul desiderio di attività fisica, sull’interferenza di questa sulla vita sociale, sulle credenze e i pensieri inerenti all’esercizio, la presenza o meno di un disturbo alimentare.

Come comportarsi in casi di exercise addiction?
Il trattamento di questo tipo di dipendenza non ha sicuramente come obiettivo l’interruzione dell’esercizio, ma l’obiettivo principale è quello di ritornare ad una sana abitudine con una giusta quota e un giusto approccio all’esercizio stesso con l’ausilio della psicoterapia, in alcuni casi può essere d’aiuto anche praticare un’attività differente da quella che causava dipendenza. Fondamentale è, inoltre, che il soggetto riconosca la sua dipendenza come un problema, perché spesso non ci si rende conto effettivamente di essere dipendenti da un qualcosa, ed è importante, anche, considerare la presenza di altri disturbi soprattutto se di tipo alimentare.

Non è libero chi è schiavo del proprio corpo” – Seneca.

Letture consigliate: “Vigoressia – quando il fitness diventa ossessione” Pierluigi De Pascalis.

A cura di
Dott.ssa Manuela Vattimo

Commenta con Facebook

Tags

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *