Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio.
Le strutture coinvolte si trovano in aree profonde del cervello, note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti.
La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente il quale è dovuto alla degenerazione di neuroni, in un’area chiamata sostanza nera.
I principali sintomi motori della malattia di Parkinson sono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici) e, in una fase più avanzata, l’instabilità posturale (perdita di equilibrio). Questi sintomi si presentano in modo asimmetrico (un lato del corpo è più interessato dell’altro).
La maggior parte dei pazienti presenta un tremore che si nota quando la persona è a riposo (non compie movimenti). Il tremore spesso interessa una mano, ma può interessare anche i piedi o la mandibola. In genere è più evidente su un lato. È presente a riposo, ma si può osservare molto bene alle mani anche quando il paziente cammina. Il tremore può essere un sintomo d’esordio di malattia, ma, spesso, non presenta un’evoluzione nel corso degli anni.
La rigidità spesso esordisce da un lato del corpo, ma molti pazienti non l’avvertono, mentre riferiscono una sensazione mal definita di disagio. Può manifestarsi agli arti, al collo ed al tronco.
La bradicinesia è un rallentamento nell’esecuzione dei movimenti e dei gesti, mentre l’acinesia è una difficoltà ad iniziare i movimenti spontanei.
Il disturbo dell’equilibrio è dovuto a una riduzione dei riflessi di raddrizzamento, per cui il soggetto non è in grado di correggere spontaneamente eventuali squilibri. Si può evidenziare quando la persona cammina o cambia direzione durante il cammino.
Si osserva, inoltre, una riduzione del movimento pendolare delle braccia (in genere più accentuato da un lato), una postura fissa in flessione e un passo più breve. Talvolta si presenta quella che viene chiamata “festinazione”, cioè il paziente tende a strascicare i piedi a terra e ad accelerare il passo, come se inseguisse il proprio baricentro, per evitare la caduta.
Durante il cammino, in alcuni casi, possono verificarsi episodi di blocco motorio improvviso (“freezing gait” o congelamento della marcia) in cui i piedi del soggetto sembrano incollati al pavimento.
Il freezing è una causa importante di cadute a terra, per questo è importante riconoscerlo. Questa difficoltà può essere superata adottando alcuni “trucchi”, quali alzare le ginocchia, come per marciare o per salire le scale oppure considerare le linee del pavimento come ostacoli da superare.
Gli scienziati della Northwestern Medicine dell’Illinois e della University of Denver hanno testato per la prima volta gli effetti dell’attività fisica su tali pazienti ed hanno visto che l’esercizio fisico ripetuto 3 volte a settimana svolta con una frequenza cardiaca tra l’80 e l’85 % diminuirebbe il decorso della malattia.
Un esercizio fisico pianificato può aiutare il paziente a mantenersi attivo ed a sostenere le attività di vita quotidiana. Può inoltre aiutare a migliorare l’attenzione, il pensiero e la memoria. Le attività fisiche possono rinvigorire le aree cerebrali deputate all’apprendimento. Questo effetto è particolarmente evidente nelle fasi iniziali della malattia.
Per migliorare i benefici dell’esercizio fisico è opportuno includere:
- Feedback fisico o verbale;
- Eseguire compiti che richiedono attenzione;
- Incentivare la motivazione tramite ricompense.
A cura di
Dott.ssa Marta Doria e Dott. Gianmaria Celia
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