L’allenamento in altitudine negli ultimi tempi è diventato molto popolare sia tra gli atleti che tra gli amatoriali come mezzo per aumentare ulteriormente le proprie prestazioni fisiche a livello del mare o per acclimatarsi alle competizioni in quota. I soggetti che si allenano in ipossia possono aumentare lo stimolo allenante.
Fin dai Giochi Olimpici del ’68 (Città del Messico, 2,256 m.s.l.m.) si iniziarono a vedere gli effetti dell’altitudine sulle prestazioni di resistenza; ma bisognerà aspettare gli anni ’80 affinché questi allenamenti si espandessero anche in Scandinavia e negli Stati Uniti.
L’esposizione in altitudine degli atleti in modo acuto apporta una serie di risposte fisiologiche, tra cui: aumento della ventilazione, aumento della FC cardiaca, riduzione della gittata sistolica, riduzione del volume plasmatico e riduzione della potenza aerobica massima (VO2 max) di circa il 15 – 20 %. Dopo diverse settimane (minimo 4) la prima risposta è l’aumento dei globuli rossi, e di conseguenza del VO2 max; per far sì che ciò avvenga sono necessarie adeguate riserve di ferro nell’organismo. Tuttavia, il primato di maggiori globuli rossi per prestazioni superiori al livello del mare spetta agli atleti Etiopi (Addis Abeba 2.355 m. s.l.m.). Ciò indica che il loro allenamento dovrebbe includere sforzi adeguati di breve durata (da 1 a 4’) ad alta intensità con lunghi recuperi per evitare un decadimento della forma fisica specifica per la gara.
L’altitudine ottimale per vivere in quota e allenarsi è stata posta tra i 2200-2500 m. s. l. m. per poter fornire un effetto eritropoietico ottimale. La durata ottimale è di 4 settimane per indurre eritropoiesi accelerata, mentre meno di 3 settimane sono sufficienti per l’economicità del gesto atletico, capacità di tamponamento muscolare, attività ATPasica, risposta ventilatoria ipossica. Il dosaggio quotidiano minimo per stimolare l’eritropoiesi è di 12 ore. È noto che l’esercizio fisico intenso (cioè sopra la soglia ventilatoria) ad alta quota stimola maggiormente gli adattamenti muscolari sia per esercizi aerobici che per quelli anaerobici limitando la diminuzione della potenza. È da notare che gli adattamenti all’ipossia cronica minimizzano gli effetti sulla disfunzione del muscolo scheletrico (ossia il deterioramento durante l’esercizio di resistenza alla fatica e nelle proprietà contrattili muscolari) che possono verificarsi durante l’ipossia acuta per alcuni esercizi muscolari. Inoltre, è accertato che esposizioni lunghe in quota portano ad adattamenti genetici all’ipossia (popolazioni come i tibetani e quechua, esposte da intere generazioni ad altitudini sopra i 3500 m. s. l. m.). La caratteristica fondamentale dell’adattamento muscolare all’ipossia in questi casi è la diminuzione della capacità ossidativa muscolare con una diminuzione della capacità di lavoro aerobico. Si ritiene che l’ipossia tissutale locale sia un importante stress adattivo per il tessuto muscolare durante l’allenamento fisico.
Da prestare particolarmente attenzione all’alimentazione: un potenziale rischio di scarsa disponibilità di energia e fabbisogno di ferro interferisce con un adattamento ottimale. Per ridurre lo stress ossidativo associato all’altitudine è consigliabile il consumo di cibi ricchi di antiossidanti (succo d’uva nera, mirtilli, cavolo, spinaci, more, fragole, ecc)piuttosto che integratori antiossidanti in alte dosi.
L’esposizione acuta o prolungata all’ipossia sulle prestazioni del muscolo scheletrico e sulle proprietà contrattili dipende sia dalla quantità e dal tipo di proteine contrattili sia dall’efficienza del meccanismo cellulare di accoppiamento eccitazione-contrazione; sull’uomo si sono riscontrati modeste influenze sulla propagazione di membrana dei potenziali d’azione muscolari durante le contrazioni volontarie.
Un acclimatamento personalizzato e appropriato è la componente fondamentale della prevenzione di infortuni e malattie. La ricerca scientifica si è concentrata sull’ottimizzazione degli aspetti dell’acclimatazione in altitudine, che comprendono aumenti della concentrazione di emoglobina nel sangue, elevata capacità tampone e miglioramenti nelle proprietà strutturali e biochimiche del muscolo scheletrico. Ma non tutti gli aspetti dell’acclimatazione sono utili: la gittata cardiaca e il flusso sanguigno ai muscoli diminuiscono e le prove preliminari hanno dimostrato che l’ipossia di per sé è responsabile di una depressione della funzione immunitaria e di un aumento del danno tissutale mediato dallo stress ossidativo.
Paul Bert è stato il primo ricercatore a dimostrare che l’acclimatazione a una pressione parziale inspiratoria di ossigeno cronicamente ridotta ha invocato una serie di adattamenti centrali e periferici che sono serviti a mantenere un’adeguata ossigenazione dei tessuti nei muscoli scheletrici sani, adattamenti fisiologici che sono stati successivamente implicati nel miglioramento della prestazione fisica durante l’acclimatazione in altitudine. Pochi studi hanno affermato che le risposte fisiologiche meno favorevoli a un’esposizione moderata in altitudine, che includono diminuzione dell’intensità assoluta dell’allenamento, diminuzione del volume plasmatico, depressione dell’emopoiesi e aumento dell’emolisi, aumento deplezione del glicogeno mediata dal simpatico in quota e aumento del lavoro dei muscoli respiratori dopo il ritorno a livello del mare. Esiste inoltre il rischio di sviluppare complicazioni mediche più gravi in quota, tra cui mal di montagna acuto, edema polmonare, aritmie cardiache e ipossia cerebrale. Altro ruolo fondamentale dell’acclimatamento in quota è l’immunosoppressione mediata dall’ipossia, ossia cambiamenti nella funzione immunitaria.
L’allenamento in quota può anche promuovere una maggiore capacità anaerobica e può aumentare la capacità di sprint. Pertanto, l’allenamento in quota può conferire adattamenti potenzialmente benefici agli atleti sia di sport individuali che di squadra.
Riferimenti bibliografici
Gregoire P Millet , B Roels, L Schmitt, X Woorons, JP Richalet, David B. Pyne, Christopher J Gore, Thomas Rupp, Morteza Khodaee, Heather L Grothe, Jonathan H Seyfert, Karin VanBaak, François Billaut, Christopher J Gor, Robert J Aughey.
A cura di
Dott. Massimo Iacovino
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