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Vertical jump height=jumping skill + athletic power. Smith (2014) la fa facile nel tentativo di spiegare uno dei gesti più affascinanti nel mondo della performance sportiva. Probabilmente non ha neanche tutti i torti, visto che nonostante sia innegabile che la capacità di salto verticale dipenda dall’interazione di svariati fattori, è altrettanto vero che un saltatore con la “S” maiuscola sia dotato essenzialmente di elevati livelli di potenza e di una buona tecnica esecutiva.


Anche in letteratura il tema del salto verticale sembra non condurre a troppe certezze e fondamentalmente ruota intorno a 3 interrogativi:
-Il primo: quale articolazione contribuisce in misura maggiore all’altezza di salto? Sicuramente esiste una predominanza legata al tipo di salto richiesto dallo sport praticato. Ma a parità di disciplina cosa succede? Alcuni studi condotti su atleti che il gesto del salto lo conoscono bene, evidenziano due diversi profili di saltatori: hip dominant (anca dominanti) e knee dominant (ginocchio dominanti). Smith arricchisce questa classificazione parlando di “hip dominant speed athletes” e di “knee dominant strenght athletes”.

I primi sopperirebbero alla loro carenza di forza con una maggiore velocità esecutiva accompagnata da un piegamento degli arti inferiori alquanto ridotto. I secondi sfrutterebbero l’elevata forza dei loro quadricipiti con un maggiore piegamento e un approccio più lento. Kipp nel 2020, a conferma di quanto già affermato da Lees, ha dimostrato che all’aumentare dell’intensità di salto è il lavoro dell’anca a subire un incremento maggiore rispetto alle articolazioni di ginocchio e caviglia. Tuttavia è stato osservato che ogni atleta (tutti cestisti) utilizzasse una propria strategia di salto, caratterizzata dalla predominanza di un’articolazione rispetto alle altre.

È ipotizzabile che lo stile di salto scelto dall’atleta possa essere dovuto a carenze di forza o semplicemente a fattori coordinativi, per cui ogni saltatore adatta il gesto in base ai suoi punti di forza e di debolezza. Certo è che un focus eccessivo su questo aspetto rischia di essere molto limitante nei confronti dell’atleta che dovrebbe comunque beneficiare di un programma di allenamento completo e non volto esclusivamente a enfatizzare i punti di forza o viceversa a colmare le carenze.

Secondo interrogativo: quanto è importante la tecnica? Esiste una tecnica perfetta?
Il salto è prima di tutto un’abilità. Ciò implica che per imparare a saltare è necessaria un’assidua pratica. Anche in questo caso bisogna tenere in considerazione che ogni atleta adotta una strategia personale, ma in assenza di alcuni parametri di riferimento difficilmente l’altezza di salto raggiungerà dei valori accettabili. Ciò è dimostrato da diversi lavori i quali affermano che il ritardo o l’anticipo nell’attivazione di alcuni muscoli, come un’alterata coordinazione tra anca e ginocchio, compromettono seriamente la performance di salto (Pereira, 2008).

Quando si parla di tecnica esecutiva un ruolo fondamentale è rivestito dall’azione delle braccia. Non c’è bisogno di studi scientifici per affermare che un salto con contromovimento (CMJ) a braccia libere conduce ad altezze superiori rispetto a un CMJ eseguito senza oscillazione degli arti superiori. Un recente studio eseguito su pallavolisti di élite (Vaverka, 2016) ha evidenziato che l’azione delle braccia conduce a un incremento della performance di salto del 38%. Tra le possibili spiegazioni al fenomeno, troviamo un’aumentata attivazione dei muscoli dell’articolazione dell’anca come conseguenza della maggiore inclinazione del busto osservata in diversi atleti che eseguivano il salto a braccia libere. Un’altra motivazione è stata fornita da Lees, che ha dimostrato come il movimento delle braccia produce un aumento dell’altezza e della velocità del centro di massa al momento dello stacco da terra, del 28% e del 72% rispettivamente.
D’altronde lo stesso Smith sostiene che al momento dello stacco le braccia dovrebbero essere condotte più lontano possibile dal terreno al fine di garantire al baricentro il raggiungimento della massima altezza.

Un dato interessante è quello fornito da Sattler (2015), quando osserva che a beneficiare maggiormente dell’azione delle braccia siano i pallavolisti maschi rispetto alle colleghe di sesso femminile, ipotizzando che ciò sia dovuto al deficit di forza degli arti superiori nelle donne. Ipotesi facilmente confutabile in quanto ciò che fa la differenza probabilmente è la velocità con cui avviene lo slancio e non la forza. Oltre alla velocità, un altro fattore determinante è rappresentato indubbiamente dalle tempistiche. Non è raro incontrare sui campi atleti e atlete, soprattutto giovani, con meccanismi coordinativi alterati: le braccia guidano il salto, hanno la funzione di trasmettere forza e velocità e come tali dovrebbero anticipare il movimento degli arti inferiori, sia nella fase eccentrica che nella successiva fase concentrica. Personalmente ritengo che l’azione delle braccia sia il primo vero aspetto su cui lavorare, per due motivi: è facilmente modificabile e con i giusti feedback conduce a risultati immediati.

-Terzo interrogativo: conta di più la forza o la velocità? Non possiamo affermare con certezza che un atleta forte sia necessariamente un saltatore eccellente ma sicuramente una buona efficacia del ciclo allungamento-accorciamento costituisce una solida base ai fini della performance di un salto con contromovimento. Tutti i parametri legati alla potenza sembrano influenzare fortemente l’altezza di salto: tempi di contatto ridotti, elevati livelli di RFD (rate of force development) e una breve durata della fase che intercorre tra contrazione eccentrica e concentrica, sono fattori associati a un’espressione maggiore di forza. Come negarlo: un salto è un gesto esplosivo e come tale dev’essere eseguito in maniera veloce.
Quando questo non accade fondamentalmente è dovuto a 2 motivi:

  • Mancanza di confidenza con il gesto (e quindi scarsa coordinazione);
  • Carenza di forza nel punto più profondo dell’accosciata.

Ci sarebbe un terzo caso, il salto è lento ma il risultato è ottimo. Anzi se si chiede all’atleta di ridurre il tempo tra la fase di allungamento e quella di accorciamento, probabilmente il salto perderebbe in centimetri. Si tratta di atleti e, meno frequentemente di atlete, che possono permettersi di eseguire il gesto in maniera lenta, per via di elevati livelli di forza. Non a caso essi effettuano un piegamento sulle gambe abbastanza profondo. Questi atleti rientrerebbero nel profilo di “saltatore con alti livelli di forza e bassa velocità” inquadrato da Kipp.

Oltre a questo egli ne identifica altri tre:

  1. Elevati livelli di forza ed elevata velocità;
  2. Bassi livelli di forza e elevata velocità;
  3. Bassi livelli di forza e bassa velocità.

Ovviamente tutti vorremmo allenare atleti e atlete con i requisiti del primo profilo, ma anche in questo caso è bene evitare di prendere troppo sul serio delle classificazioni riduttive che tengono conto solo di alcuni fattori.

Conclusioni

Veniamo alle conclusioni: nella pratica cosa posso fare per saltare di più?

  • Lavoro sulla tecnica: 1) oscillazione delle braccia nel rispetto della velocità e dei tempi corretti; 2) triplice estensione di anca, ginocchio e caviglia;
  • Pliometria si, pliometria no? Molto probabilmente è il metodo migliore per incrementare la performance di salto. Tuttavia occorre realizzare un’attenta selezione degli esercizi in base alle esigenze dello sport praticato. Banalmente sembrerebbe un errore madornale non proporre esercizi di pliometria in uno sport come la pallavolo. Peccato che gli atleti che praticano questa disciplina siano già sottoposti a un elevato numero di atterraggi ad alto impatto e una buona parte di essi non possiede un fisico adatto a sopportare questo tipo di sovraccarico. Per evitare quindi che i rischi siano più elevati dei benefici è bene evitare quella categoria di esercizi con atterraggi da altezze eccessive e che per essere efficienti prevedono tempi di contatto che pure un pallavolista di alto livello si sognerebbe di raggiungere;
  • Programma di allenamento completo sia in termini di gruppi muscolari coinvolti, che in relazione al target della seduta (forza o velocità).

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Riferimenti Bibliografici
Daniel J., et al – “Inter-Segmental Moment Analysis Characterises the Partial Correspondence of Jumping and Jerking.” Journal of Strength and Conditioning Research/National Strength & Conditioning Association – 2013;

Deliceoğlu G., et al – “The Effect of Ground Contact Time and Drop Height on Work and Power Outputs for Drop Jump in Youth Turkish National Volleyball Players.” Journal of Physical Education & Sports Science/Beden Egitimi ve Spor Bilimleri Dergisi – 2017:

Kristof K., et al – “Joint-and Subject-Specific Strategies in Male Basketball Players Across a Range of Countermovement Jump Heights.” Journal of Sports Sciences – 2020;

Adrian L., et al – “Understanding How an Arm Swing Enhances Performance in the Vertical Jump.” Journal of Biomechanics – 2004;

Mário C., et al – “Association Between Force-Time Curve Characteristics and Vertical Jump Performance in Trained Athletes.” The Journal of Strength & Conditioning Research – 2015;

Pereira R., et al – “Muscle Activation Sequence Compromises Vertical Jump Performance – 2008;

Sattler T., et al – “Vertical Jump Performance of Professional Male and Female Volleyball Players: Effects of Playing Position and Competition Level.” The Journal of Strength & Conditioning Research – 2015;

Smith J., “Vertical Foundations, the Physiology, Biomechanics and Technique of Explosive Vertical Jumping” – 2014;

Stojanović E., et al – “Effect of Plyometric Training on Vertical Jump Performance in Female Athletes: a Systematic Review and Meta-Analysis.” Sports Medicine – 2017;

Vaverka F., et al – “Effect of an Arm Swing on Countermovement Vertical Jump Performance in Elite Volleyball Players 2016;

A cura di
Dott.ssa Giovanna Porcu

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